Beach House @Piper Club photo @odrella |
Sesta cronachetta.
È domenica (non chiedetemi che ora sia) e so che ho dimenticato di chiedere l'accredito per questo concerto che aspetto da due mesi (!) Sul comodino il biglietto preso per un soffio.
Ok, più tardi mi preparo e vado.
Fa sempre piacere andare al Piper, un po' perché il mio cervello comincia a vagheggiare intorno a dei sedicenti anni sessanta tutti lustrini, fatti di complessi beat e ragazze in minigonna, dall'altro perché il locale si trova in un quartiere romano veramente bello, un caseggiato risalente ai primi del Novecento denominato "Quartiere Coppedè" che occupa l'area tra via Tagliamento e Piazza Buenos Aires.
Scesa dal tram butto l'occhio verso il locale e vedo un serpentone lunghissimo di hipsters in fila - neanche ci fossero i saldi da American Apparel - che fa l'intero giro del palazzo. A fianco un bellissimo tour bus bianco a due piani, di quelli che mi piacciono tanto, enorme ( oh, i gruppi americani si che sanno viaggiare come si deve).
Tocca armarsi di santa pazienza e attendere che ci facciano entrare. Ma ne vale la pena per vedere il duo di Baltimora (Scally e Legrand) che ha monopolizzato i miei ascolti per più e più settimane, riportandomi nella placenta rassicurante del dream pop, o meglio, come preferisco io, dello shoegaze: i Beach House.
D'altra parte Bloom, il loro quarto album uscito nel 2012, ottima conferma della qualità del lavoro della band, ha fatto guadagnare al gruppo veramente tanti "like". E i commenti sul concerto di ieri sera a Bologna che hanno circolato per tutto il giorno non sono meno positivi.
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Mi piazzo quindi tra le prime file per farmi avvolgere dal sound. Anzi, io voglio proprio "risonare". In apertura Wild, una delle mie preferite, tratta proprio da Bloom, che inizia così: "My mother said to me that I would get in trouble". Come leggevo in un'intervista, nei testi di questo disco vivono tantissimi riferimenti alla "perdita dell'innocenza".
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L'esecuzione dei brani fila veramente liscia, curata nei minimi particolari. Sublime direi, ma non fredda, o almeno così sembra da qua sotto, con il pubblico che inizia a scaldarsi. Si spazia anche tra brani dei lavoro precedenti, come Heart of Chambers, tratto da Devotion (del 2008) o Master Of None, compreso invece nella track-list del loro album di debutto, intitolato semplicemente Beach House.
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Divento "piccola piccola" durante The Hours, quando dal buio si staglia un manto di stelline pari quasi alla lucentezza della mise di Victoria Legrand, che sfoggia una bellissima giacca di paillettes.
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Ma non sarà certo la giacca a far notare Victoria, che stasera ha una voce splendida, che riempie questo posto e ci porta decisamente altrove. Chiudi gli occhi e sei in mezzo a quelle stelle, li riapri e la vedi danzare così rapita, in estasi, su quell'organo al centro del locale.
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Ebbene si, è uno di quei concerti che vorrei durasse molto, molto a lungo. Rischio di ritrovarmi più tardi, sul marciapiede all'uscita del locale a rovistare nella borsa cercando le cuffiette e il mio lettore mp3, per averne ancora.
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La scaletta del concerto:
- Wild
- Other People
- Norway
- Master Of None
- Lazuli
- Equal Mind
- Silver Soul
- The Hours
- Zebra
- Wishes
- Heart Of Chambers
- Take Care
- Myth
- Real Love
- 10 Mile Stereo
- Irene
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